Pillola di Societario M&A n. 3
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26 Giugno 2020

Pillola di Societario M&A n. 3

di MDA
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Garanzie "Implicite" negli SPA: la Cassazione ci ripensa?

Con la sentenza n. 22790 del 12.9.2019 la Corte di Cassazione, seppure in un obiter dictum, svolge alcune riflessioni in tema di garanzie legali e convenzionali nel contratto di compravendita di azioni o quote di partecipazione in società di capitali, c.d. Sale and Purchase Agreement (SPA), che sembrano non del tutto in linea con l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza più recente e nella dottrina.
Tale orientamento, sul presupposto che oggetto diretto e immediato del SPA sono le partecipazioni sociali e non i beni che costituiscono il patrimonio sociale, afferma che le garanzie legali previste in materia di compravendita dal codice civile si riferiscono esclusivamente alle partecipazioni e non al patrimonio della società le cui partecipazioni sono oggetto della vicenda circolatoria. Dal che consegue che l’acquirente non dispone di alcuna tutela ex lege, nel caso in cui la situazione finanziaria e patrimoniale della società o i beni facenti parte del patrimonio sociale non siano conformi alle sue aspettative, salva la ricorrenza del dolo del venditore, ipotesi, come intuibile, di non agevole dimostrazione.
É per tale ragione che nel SPA vengono ormai usualmente inserite dettagliate clausole, con cui il venditore fornisce espresse e specifiche garanzie rispetto, ad es., alla situazione patrimoniale della società o a determinate caratteristiche dei beni sociali, obbligandosi, in caso di successiva emersione di difformità rispetto a quanto garantito, ad indennizzare l’acquirente (o meglio, la società c.d. target, che subisce la passività) per la correlativa diminuzione patrimoniale.
Secondo l’orientamento della Corte Cassazione consacrato nel noto caso “Granarolo” (sentenza n. 16963 del 2014), le clausole di garanzia configurano “prestazioni accessorie” al trasferimento del diritto oggetto del contratto”: si tratta di garanzie autonome, che non rientrano nelle garanzie legali previste dall’art. 1497 c.c., con riguardo alla mancanza di qualità essenziali o promesse, e non sono, pertanto, soggette agli strettissimi termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c. (otto giorni, dalla scoperta, per la denunzia; un anno, dalla consegna, per l’azione), bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale.
La più recente pronuncia della Corte di Cassazione sembra sposare un’impostazione diversa, ritenendo che le azioni e le quote delle società di capitali sono beni di “secondo grado”, non del tutto distinti e separati dai beni compresi nel patrimonio sociale, con la conseguenza che questi ultimi non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di compravendita di partecipazioni.
Da tale affermazione la Corte di Cassazione fa discendere le seguenti conclusioni.
In primo luogo, sostiene che, anche in assenza di una clausola convenzionale di garanzia, l’acquirente potrebbe fare valere le garanzie legali della compravendita, nel caso in cui il patrimonio della società target non abbia la consistenza qualitativa e quantitativa sulla quale l’acquirente medesimo poteva fare affidamento, alla stregua del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. Ciò in quanto detta consistenza inciderebbe sul valore delle azioni o quote acquistate.
In secondo luogo, la Corte afferma che le garanzie convenzionali inserite nel Spa possono essere qualificate come qualità promesse o essenziali, ai sensi dell’art. 1497 c.c.: il che comporta che le azioni giudiziarie volte a far valere la mancanza di qualità, siano soggette ai ricordati termini di cui all’art. 1495 C.C.
L’interpretazione contenuta nella sentenza in esame potrebbe avere rilevanti ripercussioni pratiche in materia di SPA, sia in relazione ai contratti privi di garanzie, sia per i contratti in cui siano inserite clausole di garanzia.
Con riguardo ad un SPA sprovvisto di dette clausole, il compratore, in caso di riscontrata difformità tra il patrimonio “implicitamente” garantito dal venditore e quello effettivo, potrebbe azionare i rimedi previsti dagli articoli 1490 e ss. c.c. nonchè l’azione di risoluzione del contratto, ex art. 1453 c.c., qualora i beni facenti parti del patrimonio sociale siano privi della capacità funzionale a soddisfare i suoi bisogni.
Conseguenze altrettanto rilevanti si potrebbero delineare in relazione ai contratti contenenti clausole di garanzia relative alla situazione patrimoniale della società. Infatti, la prospettata qualificazione di queste ultime come qualità promesse o essenziali, ex art. 1497 c.c., comporterebbe l’applicazione dei ricordati termini di decadenza e prescrizione, rendendo indubbiamente più difficoltoso per il compratore l’esperimento delle iniziative giudiziarie volte a far valere i rimedi previsti dal contratto, posto che l’emersione di difformità rispetto alla situazione garantita si manifesta sovente in un arco temporale più lungo.

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