Pillola di Lavoro n. 3
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19 Maggio 2020

Pillola di Lavoro n. 3

di MDA
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Infortunio da COVID 19 e responsabilità del datore di lavoro

Il contagio da COVID 19 come infortunio sul luogo di lavoro.

Con la previsione di cui all’art. 42, comma 2, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (convertito, con modifiche, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), ormai noto come “Decreto Cura Italia”, si è definitivamente sancita l’equiparazione del contagio da COVID 19, in occasione di lavoro, a infortunio sul luogo di lavoro.
La norma, così testualmente prevede: «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati.»

La disposizione contenuta nell’art. 42 co. 2 del Decreto Cura Italia precisa quindi che per le infezioni da virus COVID-19 contratte in occasione di lavoro trova applicazione il principio generale in base al quale le malattie infettive contratte in circostanze lavorative sono considerate infortuni sul lavoro ai fini della relativa assicurazione obbligatoria.
Va sottolineata la previsione che esclude i casi accertati di infezioni da COVID 19 – in occasione di lavoro – dal computo ai fini del meccanismo di oscillazione delle tariffe dei premi INAIL di cui agli articoli 19 e seguenti del relativo allegato al D.M. 27 febbraio 2019.

In quali casi ed in che modo l’eventuale contagio del lavoratore da COVID 19 viene ricondotto all’occasione lavorativa?
Con riferimento all’assolvimento dell’onere probatorio necessario per dimostrare che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro, la Circolare dell’INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 definisce le categorie per cui:
– vige la presunzione semplice di origine professionale:
a) operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus;
b) chi svolge altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/utenza; a titolo meramente esemplificativo lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc;
– negli altri casi, in cui l’episodio che ha determinato il contagio non è noto e/o il lavoratore non può provare che il contagio si sia verificato in occasione di lavoro in considerazione delle mansioni/lavorazioni cui è adibito, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
La circolare dell’INAIL menzionata specifica che spetta al medico, al quale è arrivata la segnalazione del contagio da COVID-19, certificare, oltre la data dell’evento, la data di astensione dal lavoro per inabilità assoluta, per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore, conseguente al contagio da virus, anche le cause e circostanze, la natura della lesione e il rapporto con le cause denunciate.
Viene inoltre precisato che la comunicazione/denuncia a cui sono tenuti i datori di lavoro in caso di infortunio che dovrà, nelle ipotesi di contagio da COVID19, essere corredata anche da documentazione a dimostrazione del fatto che il virus sia stato effettivamente contratto in quanto la lesione deve essere stata clinicamente accertata a seguito di accertamenti diagnostici.

Rientrano nella tutela anche i casi di contagio da COVID 19 avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere, come confermato anche dalla Circolare dell’INAIL n. 13 del 3 aprile 2020.
Con riferimento a tale fattispecie, poiché il rischio di contagio è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza è considerato necessitato l’uso del mezzo privato, in deroga alla normativa vigente e fino al termine dell’emergenza epidemiologica.

La responsabilità dei datori di lavoro

Anche il contagio da COVID 19, come gli altri infortuni sul luogo di lavoro, espone il datore di lavoro ad una responsabilità civilistica, risarcitoria, e penale.
Infatti il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere:
– nei confronti del lavoratore, per il danno differenziale;
– nei confronti dell’INAIL, quando l’Istituto agisca in regresso per le prestazioni corrisposte al lavoratore.
Sul versante penale, il datore di lavoro rischia di rispondere per i reati di lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p., oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, ravvisandosi una condotta omissiva nei termini di cui all’art. 40 co. 2 c.p.

In che casi il contagio può essere imputato al datore di lavoro?
Non va scordato che il datore di lavoro risponde solo in tanto in quanto risulti inadempiente all’obbligo di sicurezza, quando, cioè, risulti che lo stesso non abbia posto in essere le misure necessarie per salvaguardare l’integrità dei lavoratori.
Le fonti normative fondamentali da considerare sono rappresentate da:
l’art. 2087 c.c., norma aperta che pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro prevedendo che: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»;
• le disposizioni previste dal T.U.S.L.;
• la “normativa speciale pandemica” emanata in questi ultimi due mesi dal Governo; segnatamente rileva l’art. 2, co. 6, del DPCM 26 aprile 2020, che ha statuito come le imprese le cui attività non siano sospese sono tenute a rispettare «i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali»;
Il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza a tutela dei lavoratori implica perciò necessariamente anche il rispetto delle misure delineate dal Protocollo condiviso, pena l’impossibilità della prosecuzione dell’attività lavorativa o la sospensione.
Il rispetto del protocollo è utile anche per tutelare il datore di lavoro, perché aiuta a definire le misure che lo stesso è tenuto a porre in essere perché possa essere considerato assolto l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. Le misure previste nel protocollo, infatti, essendo state oggetto di concertazione, in virtù di un rinvio contenuto nella normativa alle parti sociali, sembrano poter adeguatamente rappresentare le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro nel caso di contagio da COVID 19.
Il Protocollo se osservato costituisce quindi un benchmark per evitare la responsabilità (o quanto meno per limitare gli effetti negativi) sul datore di lavoro.

Sul rapporto tra accesso all’indennizzo INAIL e accertamento della responsabilità del datore di lavoro
L’INAIL ha chiarito con dichiarazione del 15.05.20, che “dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro non deriva automaticamente una responsabilità del datore di lavoro”.
Se, quindi, l’ammissione all’indennizzo INAIL può avvenire, esemplificativamente, sulla base delle presunzioni contenute nella circolare del 3 aprile 2020, ciò non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale né per dimostrare la responsabilità in sede civile.
Ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, invero, è sempre necessario l’accertamento della colpa nella determinazione dell’infortunio, come il mancato rispetto della normativa a tutela della salute e della sicurezza.

La nota Inail 24 aprile 2020, n. 5392

La tematica della responsabilità del datore di lavoro diventa ancora più preminente se si pensa che l’INAIL con la nota n. 5392 del 24 aprile 2020 è intervenuto per «ribadire che, nell’attuale fase emergenziale, va data la massima priorità all’attività istruttoria e alla definizione dei casi denunciati di eventi mortali, ed in particolare da infezione da nuovo coronavirus, al fine di erogare tempestivamente le prestazioni ai superstiti. In particolare, l’attività ispettiva, mai sospesa in quest’ambito, è chiamata ad agevolare la tempestiva definizione dei casi, consentendo all’ufficio di disporre nel più breve tempo possibile dei necessari elementi di giudizio sulla indennizzabilità, dei dati anagrafici e di quelli economici in base ai quali erogare le prestazioni, nonché ai fini della presa in carico dei superstiti da parte del funzionario socio-educativo, con il quale l’ispettore si raccorda».
L’istituto precisa altresì che, nel caso in cui non si sia in possesso di tutti gli elementi utili al fine di una tempestiva erogazione delle prestazioni, è necessario prevedere l’intervento dei funzionari di vigilanza da attivare ogni qual volta se ne ravvisi la necessità, affidando agli stessi il compito di acquisire i dati e la documentazione utili all’istruttoria.
In ogni caso, l’accesso esterno dovrà necessariamente prevedere la dotazione e il corretto impiego dei dispositivi di protezione individuale (tra questi le mascherine chirurgiche) per la sicurezza del personale.

COME PUÒ TUTELARSI IL DATORE DI LAVORO?

Ad oggi, il datore di lavoro per evitare a suo carico azioni di responsabilità e/o risarcitorie da parte del lavoratore (e per evitare provvedimenti di sospensione dell’attività) dovrà:

– valutare e identificare come si atteggia il rischio da COVID-19 con riferimento alla propria realtà aziendale;
– attuare tutte le misure di prevenzione in virtù del suo ruolo di garante della salute e sicurezza del lavoratore ai sensi dell’art. 2087 c.c. e del Testo Unico sulla salute e sicurezza;
– aderire al Protocollo condiviso (ai suoi aggiornamenti e/o ad altre linee guida che si applicano o applicheranno in ragione della specificità della propria realtà imprenditoriale);
– informare i lavoratori (e anche i soggetti terzi che entrano in contatto con la sede aziendale) delle misure adottate per far fronte al rischio da contagio da COVID-19 e quindi adottare un protocollo aziendale nel quale adattare le misure di prevenzione e sicurezza previste dal protocollo condiviso al contesto organizzativo e all’ambiente lavorativo di riferimento;
– verificare se le polizze assicurative inerenti alla responsabilità civile contengano clausole di garanzia che comprendano anche la tutela da rischio COVID-19.

Detto quanto sopra, la non applicazione, anche parziale, del Protocollo diventa cruciale per la responsabilità del datore di lavoro.

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