Pillola di Lavoro n. 24
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17 Giugno 2021

Pillola di Lavoro n. 24

di MDA
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La restituzione di importi non dovuti da parte del lavoratore: fine di mille battaglie

Il legislatore prende atto dell’orientamento dei giudici, in base al quale il lavoratore è tenuto a restituire solo il netto percepito, e consente al datore di compensare gli importi già versati al Fisco.

Con l’ordinanza n. 13186 depositata in data 17 maggio 2021, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento ormai consolidato secondo cui il datore di lavoro, in caso di ripetizione di somme indebitamente versate al lavoratore, non può pretendere il pagamento al lordo delle ritenute fiscali, perché si tratta di somme che il lavoratore non ha mai percepito.
Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso di una nota Società, la quale si era vista revocare in primo grado (sentenza confermata in appello) un decreto ingiuntivo emesso in suo favore per la restituzione di somme pagate ad un lavoratore in esecuzione di una sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del contratto a termine stipulato con il medesimo lavoratore e che, in seguito, era stata riformata.
Nonostante la Società, in qualità di sostituito d’imposta, avesse versato quanto dovuto al lavoratore al lordo delle ritenute fiscali, la Corte ha rigettato la tesi per cui il lavoratore sostituito, parimenti e sin dall’origine obbligato solidale d’imposta, debba considerarsi tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto versato all’Erario, onerandosi del relativo recupero: infatti, ancorché l’art. 38 DPR 602/72 preveda che il rimborso di quanto indebitamente versato può essere richiesto all’Amministrazione finanziaria sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia da colui che ha percepito le somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito), la Società non può pretendere che il lavoratore restituisca somme che non sono mai entrate nella sua sfera patrimoniale.
Se l’orientamento espresso dalla giurisprudenza può dirsi, oramai, univoco, non può tuttavia trascurarsi che, sulla questione, la prassi dell’Agenzia delle Entrate si è a lungo espressa negativamente, rilevando che il sistema dei rapporti tra Erario, sostituto e sostituito, come definito dal TUIR, comportava che il datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, non fosse legittimato a chiedere il rimborso di ritenute fiscali versate in luogo del lavoratore sostituito (cfr.ad, es., Risoluzione n. 110/E del 2005; Risoluzione n. 71/E del 2008; Risposte nn. 206 e 291 del 2019).
Da ultimo, tuttavia, con l’art. 150 del D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), convertito da L. 77/20, è intervenuto il legislatore “emergenziale” a modificare l’art. 10 del TUIR e a prevedere che, nel caso di restituzione di somme rivelatesi indebite, gli importi da restituire (da parte del lavoratore), laddove le somme indebitamente percepite siano state assoggettate a ritenuta alla fonte all’atto della loro erogazione, devono essere considerati al netto della ritenuta.
L’espressa finalità deflattiva della norma, che prende atto del consolidato orientamento della giurisprudenza, lascia intravvedere la fine dei defatiganti contenziosi che le imprese erano costrette ad intraprendere su uno o su entrambi i fronti (Erario e lavoratore) a causa del contrasto insorto a livello di “sistema”: peccato però che la soluzione adottata non sia del tutto lineare, perché al datore di lavoro che ha versato la ritenuta non spetta la relativa restituzione da parte dell’Erario, ma un credito d’imposta pari al 30% delle somme ricevute, che non corrisponde sempre ad un integrale rimborso.

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