Cala la disoccupazione giovanile, ma tra Millennials e Generation Z resta la sfiducia nel mercato del lavoro.
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15 Giugno 2023

Cala la disoccupazione giovanile, ma tra Millennials e Generation Z resta la sfiducia nel mercato del lavoro.

di MDA
su Diritto e Rovescio
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Disoccupazione giovanile in calo ma Millennials e Generation Z mostrano sfiducia nel lavoro tradizionale, preferendo flessibilità e smart working.

I dati pubblicati dall’Istat a giugno sembrano mostrare una situazione in lieve miglioramento. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è del 20,4%, in calo di 1,4 punti percentuali. Tuttavia, il VI Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, pubblicato a marzo 2023, ha esordito segnalando che “la rarefazione dei lavoratori più giovani è destinata ad accentuarsi”. In poche parole, lavoratori giovani saranno sempre più rari e, per contro, si verificherà un significativo aumento degli occupati maturi o anziani. I numeri confermano il trend: nel periodo 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6% e quelli d’età 35-49 del 14,8%, mentre i lavoratori maturi, i 50-64enni, sono aumentati del 40,8% e gli anziani, cioè gli over 65, del 68,9%.

Per questa ragione la presenza di lavoratori sempre più âgées rappresenta la sfida attuale, soprattutto se, come rilevano studi dell’I.R.S., cioè l’Istituto per la Ricerca Sociale, i più maturi sono spesso esclusi dalle opportunità di formazione professionale e di aggiornamento delle competenze (soprattutto skills tecnologiche), rischiando così di perdere il proprio impiego nonostante la mancanza di concorrenza giovane. Il Recovery Fund, il Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta e il Fondo Nuove Competenze dell’ANPAL mostrano un occhio di riguardo per la classe dei senior. Si potrebbe quasi dire che le istituzioni hanno a cuore di garantire ai lavoratori maturi di diventare anziani, lavorando.

D’altro canto, imprese e pubbliche amministrazioni faticano a trovare giovani che abbiamo profili adeguati. Ma se i giovani sono pochi e se, per questo, non soffrono particolare concorrenza, perché tutte queste difficoltà? Troppo facile rispondere che siamo in un momento storico peculiare, che è colpa della congiuntura, o che il bagaglio di conoscenze dei lavoratori anziani è un valore troppo prezioso che rischierebbe di essere perduto o che, altrimenti, il sistema previdenziale collasserebbe.

Se si guarda più attentamente, si ha la netta impressione che ci sia qualcosa di più, di più profondo e più complesso, soprattutto sotto il profilo sociale. Non servono indagini o statistiche particolari, ma solo un po’ di memoria storica, per sapere che, di fatto, siamo passati da un’epoca in cui si teorizzava il conflitto generazionale come fuoco capace di incendiare gli animi e creare, così, nuovo valore, ad uno in cui il fuoco si è fatto brace o, meglio, “bronza cuerta”, usando una immagine forte che appartiene alla cultura del nostro territorio. Quella che si avverte oggi tra i giovani è una forma di consapevole rassegnazione, una sorta di “impotenza della critica” nel senso che “tanto, anche se ci si prova, non cambia nulla”. Millennial (cioè i nati tra il 1981 e il 1995) e Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) sono scoraggiati da un mercato che in fondo non li vuole e, in risposta a tale disagio, si minimizza l’investimento personale nel lavoro, il così detto quiet quitting e si incentiva la possibilità di orari ridotti, settimana corta o smart working.  Il fatto è che il fuoco si sia fatto brace viene espresso dai millennial manifestando sintomi di esaurimento: in gergo tecnico si parla di burn-out. Così molti, anche se non hanno alternative in mano, rifiutano lavori che ritengono non gratificanti o troppo pesanti e, pian piano, escono dal mercato prima ancora di esserci entrati. Facile concludere che la causa di tutto ciò non è nei giovani e va ricercata piuttosto in chi di quel fuoco ha fatto brace, cioè in chi non sa (o non vuole) mostrare loro che “lavorare” è qualcosa di più di quel nulla che è “il lavoro per il lavoro”, cioè nella fatica fine a sé stessa.

Mostrare che “lavorare” è qualcosa di più del far fatica, è pericoloso. Meglio occuparsi di lavoro senile o di mancanza di occupazione giovanile, piuttosto che di valore sociale dell’impresa e del lavoro come momenti creativi, fatti anche di tensione tra vecchio e nuovo sapere e di conoscenze, scoperte, ingegno ed inventiva, perché riscoprire tutto ciò rischierebbe di incendiar davvero le braci.

 

Avvocato

Daniele Corrado

Partner MDA Studio Legale e Tributario (Venezia-Padova-Treviso)

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