Pillola di Lavoro n. 2
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11 Maggio 2020

Pillola di Lavoro n. 2

di MDA
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Le Imprese possono rifiutare la richiesta di smart working?

I Tribunali di Grosseto e Bologna si pronunciano sulla richiesta dei lavoratori di poter svolgere la propria attività in modalità agile.

Il Governo preme sulle aziende e dopo aver solo «raccomandato» il lavoro agile introduce una grossa novità nel D.L. «Rilancio»

Due recenti ordinanze dei Tribunali di Grosseto e Bologna del 23 aprile 2020 hanno imposto ad altrettante imprese di consentire ai lavoratori ricorrenti di svolgere la propria attività in modalità agile. Alle pronunce si aggiungono le indiscrezioni sul D.L. «Rilancio» (noto alle cronache come «Decreto Aprile»), con cui il Governo intende estendere la platea dei soggetti titolari di un vero e proprio «diritto» a lavorare da remoto.
Considerate le prime decisioni dei Tribunali e gli interventi del Governo può dirsi davvero che esiste un diritto generalizzato dei dipendenti a lavorare da remoto? Quali margini discrezionali ha l’azienda per poter rifiutare l’eventuale richiesta del lavoratore di svolgere i propri compiti in modalità agile?
Cerchiamo di vederci chiaro, visto che – come spesso capita – molte testate giornalistiche hanno eccessivamente semplificato le peculiarità dei casi concreti analizzati dai due Tribunali.

Entrambi i casi, infatti, erano accomunati da due caratteristiche peculiari:
1) Ai lavoratori erano assegnati compiti che pacificamente possono essere svolti da remoto: nel caso di Grosseto l’impiegato (V° livello CCNL Commercio e terziario) è addetto al servizio di assistenza legale e contenzioso; nel caso bolognese l’impiegata (II° livello CCNL Commercio e terziario) è addetta al settore fiscale. Si tratta di mansioni di backoffice.
2) I ricorrenti rientravano nella categoria dei c.d. lavoratori «fragili»: nel primo caso il lavoratore è affetto da una grave patologia polmonare con conseguente riduzione permanente della capacità lavorativa al 60% con riduzione anche della deambulazione; nel secondo caso la lavoratrice presenta un’invalidità del 60%, avendo anche una figlia disabile.

Allo stato, queste due caratteristiche sono determinanti per definire l’esistenza di un «diritto» al lavoro agile (ed il conseguente obbligo dell’impresa di concederlo).
Tralasciando, il settore pubblico (nel quale l’art. 87 D.L. 18/2020 ha elevato il lavoro agile a «modalità ordinaria» di svolgimento della prestazione), nel settore privato il Governo è passato dalle «raccomandazioni» sull’utilizzo del lavoro agile, al riconoscimento di un vero e proprio «diritto» ma solo per alcune categorie di lavoratori.
In particolare, rileva l’art. 39 D.L. 18/2020, secondo il quale i lavoratori dipendenti disabili (ex art. 3, co. 3, L. 104/1992) o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona disabile (ex art. 3, co. 3, L. 104/1992) o che siano immunodepressi (o vivano con soggetti immunodepressi) «hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione».
Viene anche previsto un diritto di «priorità che il datore deve garantire nell’adibizione al lavoro agile in favore di lavoratori «affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa» (ivi compresi gli immunodepressi o lavoratori che convivono con persone immunodepresse).

Può dirsi allora che il diritto al lavoro agile sussiste solo laddove vi siano due condizioni:
1) La prima soggettiva: il lavoratore rientra nella categoria di lavoratori con fragilità (proprie o di propri familiari e/o conviventi);
2) La seconda oggettiva: le mansioni del lavoratore – per loro natura e per gli strumenti che richiedono – possono essere svolte da remoto. Quindi, il dipendente in catena di montaggio no, l’impiegato che coordina gli acquisti potenzialmente sì.
Con il D.L. «Rilancio» il Governo sembra pronto ad estendere la condizione soggettiva anche a tutti i dipendenti con figli minori di 14 anni, che dunque maturerebbero il diritto a lavorare da remoto.
Ma l’azienda deve sempre accettare le richieste dei lavoratori che presentano il requisito soggettivo? Ovviamente no.

In questa fase, le ragioni di opportunità per l’azienda per incentivare il lavoro agile sono molteplici, prima tra tutte la riduzione del rischio di poter essere chiamata a rispondere di eventuali danni per contagio dei dipendenti «in occasione di lavoro».
Ciò nonostante, rimane in capo all’azienda – pena la violazione della libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. – la decisione sulla sussistenza della condizione oggettiva, ossia sulla compatibilità delle mansioni con il lavoro da remoto. Non è detto, infatti, che per il solo fatto che un dipendente lavori con telefono o computer, la sua mansione possa certamente dirsi compatibile con il lavoro da remoto: vi potrebbero essere specifiche esigenze organizzative che richiedono la presenza in azienda e che vanno valutate caso per caso.

Nell’ipotesi di adibizione al lavoro agile (vuoi per scelta del datore, vuoi per assenso a richiesta del dipendente), benché la legge non lo esiga, è bene che l’azienda individui e comunichi al lavoratore regole chiare che vanno osservate. Non solo in tema di controlli, ma si pensi ad esempio al luogo in cui il lavoratore può svolgere la propria attività: la L. 81/2017 non impone alcun vincolo di luogo, e quindi, il lavoratore con le progressive riaperture della circolazione potrebbe lavorare anche in luoghi diversi dal proprio domicilio, esponendosi – in occasione di lavoro – a tutti i rischi che questa fase emergenziale ci ha insegnato a conoscere.

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